Questo testo può sembrare insolito; qualcuno direbbe anomalo, cioè privo di linearità e di trasparenza.
In realtà è una formidabile provocazione a ripensare il passato e il presente in una chiave di forte ricerca di connessioni temporali che non si considerano mai perché l’oggi non sembra avere più alcun legame con ciò che è avvenuto e si è stratificato ieri.
In realtà, quando cerchiamo di capire il presente, ad esempio il buio quasi impenetrabile del sharing economy, troviamo nella memoria del passato categorie e chiavi semiologiche molto più efficaci e liberatorie di quanto ci possiamo attendere.
Perciò, oltre la paura, non una dubbia economia della condivisione, ma il ritorno al trebbo, un fatto di cultura e di vita, prima che di economia; anzi la natura solidale delle relazioni e degli scambi tra coloro che vivevano la stessa condizione di precarietà traeva origine proprio dalla condivisione di una condizione di vita in cui erano trasparenti le intenzioni soggettive, i ruoli sociali, le regole dello scambio di valore che non arricchiva qualcuno a scapito di altri, ma arricchiva mutualmente tutti i soggetti in campo.
Un’economia solidale, quella del trebbo, perché ricca di reciprocità e quindi di mutualità. Una economia del rendimento e del tornaconto quella della Sharing Economy, allorquando chi ne è coinvolto non ne decide le regole, ma ad esse si conforma, non mette in gioco le sue qualità, ma si avvale dei vantaggi di funzionalità che da solo non sarebbe in grado di produrre e di gestire.
La lettura di questo testo può non essere facile, ma lasciare aperti interrogativi non banali; è ciò che l’autore intende fare, perché riflettendo e ragionando su quanto sta succedendo in questa economia post moderna della globalizzazione e della liquefazione sociale, possiamo continuare a mantenere la intelligenza e la coscienza più vive e reattive di quanto i social media ci costringono a fare.