A Gianluca Piscitelli,
con profonda gratitudine.
L’obiettivo di questo lavoro è approfondire la tematica del disagio contemporaneo attraverso la lente sociologica della multidimensionalità, in quanto i fenomeni manifesti e visibili che sono alla sua base resteranno comprensibili solo in superficie se non si presta attenzione alle loro cause più profonde.
Nella prima parte viene introdotta la prospettiva culturale, la cui conoscenza è imprescindibile per riuscire a capire quanto il contesto giochi un ruolo fondamentale nel determinare il benessere o il malessere delle persone.
Esistono due facce diverse di cultura, la prima rimanda a un processo di differenziazione tra individui della stessa società, la seconda si riferisce ad abitudini e abilità socialmente condivise.
Senza cultura non abbiamo significati, non creiamo appartenenza a un luogo né identità, inevitabilmente portiamo tutti questi elementi sempre con noi in ogni parola che pronunciamo e in ogni storia che creiamo, che raccontiamo, che condividiamo, mescolando elementi che ci accomunano ai nostri simili ed elementi che, invece, ci caratterizzano come irripetibili rispetto a loro.
Essendo veicolate dalle persone, le credenze culturali possono essere modificate, oltre che trasmesse di generazione in generazione e determinano sempre influenze sull’ambiente di vita, in particolare, ciò che c’è di poco sano, disfunzionale e negativo in esse.
Il collegamento dell’individuo col suo ambiente di vita è evidente nel collegamento tra un disagio individuale e un disagio sociale, i quali condividono un modello culturale di riferimento.
Quando da un disagio soggettivo iniziano a nascere problemi che si riflettono nella sfera socio-strutturale, diventa un disagio sociale, con conseguenti attriti fra modelli culturali e ripercussioni importanti nel riuscire o meno a dare un senso a ciò che è intorno.
Aiutare l’individuo a decodificare meglio il proprio ambiente, perciò, contribuisce ad alleviare anche il disagio a livello sociale e ad incentivare il benessere generale, perciò la domanda che ci si deve porre è “quanto l’influenza della cultura migliora chi ne fruisce?”
La cultura, per essere costruttiva, dovrebbe puntare allo sviluppo della tolleranza, allo sviluppo dell’autostima, allo sviluppo di una visione “sana” della vita.
Attualmente il mondo si trova in uno stato di transizione “critica”, perché sono sempre di più le persone che stanno andando incontro a un risveglio di coscienza e, di conseguenza, iniziano a desiderare un nuovo tipo di mondo, più armonico e basato sulla collaborazione anziché sul potere e sulla competizione, sulla sostenibilità anziché sullo sfruttamento, sulla connessione e sull’empatia anziché sulla divisione e la discriminazione.
Aspetti che sono legati non solo alla sfera emotiva ma anche a quella spirituale, secondo una visione più olistica.
Tuttavia, non si è abituati a guardare in profondità dentro se stessi quando si tratta di approcciarsi ai problemi che riguardano l’ambiente in cui si vive, si tende sempre a dare la colpa solo a qualcosa o a qualcuno che è fuori e che provoca malessere interiore e non si considera il fatto che esso, a sua volta, può essere matrice di un malessere non soltanto “privato” ma anche collettivo, avendo radici lontanissime e talvolta sconosciute.
Questo atteggiamento porta ad ignorare la grande evidenza per la quale siamo tutti eredi di due culture, infatti, la vita di ciascuno di noi è un romanzo che racconta anche di una ragnatela invisibile nella quale si verificano ripetizioni e coincidenze apparentemente collegate solo alla nostra storia personale e che ci portano a vivere meno liberi di quanto crediamo.
Siamo noi stessi artefici di questo groviglio, la seconda parte di questo elaborato è per questo dedicata ai contributi della prospettiva transpersonale, in quanto utile a mostrare come il nostro mondo interiore influenzi quello esteriore.
Solitamente nello studio delle problematiche che riguardano la società si tende a considerare solo i fenomeni più “oggettivi”, ma se imparassimo ad afferrare, comprendere meglio, ascoltare e vedere anche queste ripetizioni e coincidenze, l’esistenza di ognuno di noi diventerebbe più chiara e sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere, anche quando ciò può creare sorpresa nell’ altro di fronte a noi.
Per recuperare la nostra libertà e svincolarci dalla reiterazione capendo ciò che accade, dobbiamo afferrare i fili della tela nella loro complessità e collocarli nel loro contesto in modo da iniziare a vivere la nostra vita e non quella dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri familiari o dei nostri antenati che “rimpiazziamo” inconsapevolmente.
Restare in contatto con il nostro passato ha dei risvolti positivi ed importanti per il nostro presente e per la qualità delle nostre relazioni. Infatti, noi possiamo entrare in contatto con persone che hanno avuto antenati che hanno vissuto determinate situazioni che si ripresentano a loro attraverso il rapporto con noi.
Un problema può non essere soltanto nostro ma anche della nostra famiglia e in prospettiva più ampia può rispecchiare un problema legato a un trauma collettivo e sociale, dinamica in cui anche l’immaginario gioca un ruolo cruciale.
Alla base del disagio sociologico c’è il fatto che troppo spesso si cerca di vivere una vita come gli altri con cui vorremmo condividere il nostro mondo la vorrebbero e questo fa perdere la propria autenticità, ogni tanto bisogna uscire dalle convenzioni e dall’ordinarietà e lasciar fluire ciò che si tende a tener dentro per mostrare un’immagine adeguata al contesto sociale.
L’uomo, a livello individuale, deve rompere i legami con le auto concezioni errate, con i circoli ipnotici e i riflessi condizionati che creano una sorta di “doppio” che vive al suo posto, che sostituisce l’originale e porta ad identificarsi in un personaggio che è la caricatura della sua identità più profonda.
Il cambiamento è possibile quando si apportano contributi innovativi e non quando si conferma sempre ciò che ci si trova disponibile di fronte, dal punto di vista della sociologia clinica è importante impegnarsi ad aiutare le persone ad abituarsi a pensare in maniera trasversale, avendo fiducia nelle risorse che possono mettere a disposizione al di fuori (e che magari non condividono per timore) per partecipare alla costruzione di una cultura più sana, perché un uomo libero ne libera cento.
Il malessere che oggi caratterizza il nostro vivere quotidiano rappresenta una grande sfida per le molteplici sfaccettature con cui si manifesta, questo libro vuole rappresentare un tentativo di definizione per riuscire a comprenderlo, passaggio fondamentale ancor prima di cercare delle soluzioni per alleviarlo.
Autori e Curatori
FEDERICA UCCI,
Sociologa abruzzese (1982) specialista in Organizzazione e Relazioni Sociali, Operatrice territoriale nel settore servizi sociali dal 2004. Nell’ambito della Sociologia Clinica ha collaborato in attività di ricerca con il Team afferente al gruppo di studio in Counseling Sociolistico coordinato dalla dott.ssa S. Angelisi. Ha pubblicato i volumi “L’Indagine Narrativa da metodo di ricerca a strumento di lavoro” e “I-care…E-Care Nuove reti di servizi nelle relazioni di aiuto alle persone, nei territori e nelle comunità”, 2021, HomelessBook.