La passione di Artemisia
di Susan Vreeland
Cosa chiedere di più ad un libro… se non trasmetterci emozioni, sensazioni, odori e bellezza?
Di alcuni si dice: “La sua vita è stata un romanzo” a significare che l’hanno segnata eventi vari, rilevanti, drammatici. E allora poche esistenze furono romanzesche come quella di Artemisia Gentileschi (1597-1653), pittrice insigne, erede del padre Orazio, ma ben più degna di ammirazione per avere trasformato la sua passione per l’arte in un’arma con cui vivere nel mondo: per difendere la propria dignità di donna, innanzitutto, offesa da uno stupro divenuto pubblica vergogna, e poi quella di artista, cosciente di aver aperto alla pittura strade che nemmeno il suo grande maestro, Caravaggio, aveva osato percorrere.
Questa ultima battaglia la vide vincitrice: prima pittrice a guadagnarsi da vivere con i suoi quadri, prima donna a essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze.
Quanto all’altra lotta, che si svolse dentro la sua anima, soltanto congetture. Ed è questo spazio interiore, dove sempre i colori si fanno più sfumati che su qualsiasi tela, che l’americana Susan Vreeland esplora nel suo romanzo. Pagine vive, dove si addensano con cura amorosa le luci e i colori delle città italiane, Roma, Firenze, Genova, Napoli e con loro altre passioni: i lacci dell’amore e dell’odio, il fascino della bellezza, sodalizi femminili che nemmeno la morte sa interrompere.
Il rapporto teso e difficile con suo padre, con il desiderio e la fatica di pronunciare la parola “perdono”, il grande affetto per la propria figlia Palmira, che arriva a farle comprendere con grande sofferenza, ma serenamente, come lei non potrà mai essere una pittrice.
C’è solo un uomo, tra i contemporanei di Artemisia, che capisce appieno la forza rivoluzionaria della pittrice: è Galileo, il grande ribelle che nessuno può mettere a tacere. Come le figure femminili dei quadri di Artemisia balzano fuori dalla tela prendendo una vita propria sotto il pennello della pittrice, così il personaggio di Artemisia esce fuori vivido e vibrante dalla penna di Susan Vreeland. Forse anche la scrittrice, come la pittrice, vuole forzarci a riconsiderare la storia sotto una luce diversa, a non dare per scontati pregiudizi e stereotipi. Questo è un libro che ha una voce che non è solo quella di Artemisia, ma di tutte le donne che hanno taciuto per secoli.
Ne esce un affresco notevole per la capacità che la Vreeland dimostra di proporre il punto di vista di una donna dalla vita sicuramente straordinaria, con un’esaltazione tutta contemporanea per scelte femminili che antepongono la passione per il proprio lavoro, alle relazioni d’affetto, all’amore.
È anche un libro “visivamente” straordinario, per le doti dell’autrice di farci vedere sia i colori che Artemisia sparge sulla tela come anche gli uomini e i paesaggi attraverso gli occhi di una donna che dice “è meglio essere assetati di bellezza e comprenderla, che essere belli e basta”.
Neri Pozza Editore
La ragazza con l’orecchino di perla
di Tracy Chevalier
La ragazza con l’orecchino di perla è lei: Griet il suo nome. Cosa ci fa una domestica con indosso un prezioso orecchino è quanto ci svela Tracy Chevalier. A lei il merito di prenderci e di condurci fin dentro alle Fiandre del XVII secolo, divise tra cattolici e protestanti, di farcene respirare l’aria, sentire gli odori, percorrere le strade, toccare i tessuti, entrare nell’ambiente dove, immerso in un silenzio sacrale, il divino Jan Vermeer creava i suoi capolavori.
Da un lato l’immenso pittore, dall’altro una giovane e anonima servetta. Sconosciuta se non fosse che da quasi 400 anni ci continua a guardare, con quei due grandi occhi profondi, da sopra la spalla. Come se chiamata quasi alla sprovvista, si voltasse indietro con espressione sorpresa, e tale, congelata in una improvvisa istantanea, rimasta impressa sulla tela che l’ha resa immortale.
Griet entrerà nel cuore di ogni lettore cui capiti tra le mani questo romanzo di Tracy Chevalier. È lei la protagonista de “La ragazza con l’orecchino di perla” e, prima di indossare quel gioiello e lasciarci, per mano di Jan Vermeer, quella immagine del suo viso dai grandi occhi e dalle labbra rosse e carnose, passerà attraverso la separazione dalla sua famiglia, sognerà un amore impossibile che si scontrerà, come troppo spesso accade nella vita, con una dura e crudele realtà, ma come avviene a molti amori incompiuti, andrà oltre la morte.
Romanzo che ci conduce con straordinaria precisione là dove l’arte è divisa dai fantasmi della passione soltanto da una linea sottile: tra Vermeer e Griet, l’artista e la serva, l’amato e l’amante, l’uomo potente e la giovane donna che non possiede altro che il suo incanto e la sua innocenza, si stabilisce un’intensa relazione fatta di sguardi, sospiri, frasi non dette.
In questo libro Tracy Chevalier, con una narrazione che si serve sempre delle tonalità più adatte, ci parla di amore e di arte. Il suo stile ricalca in qualche modo la tecnica pittorica di Vermeer; nel suo romanzo infatti troviamo una cura attenta alle sfumature cromatiche ed al particolare, accostate ad una definizione precisa e completa delle scene tali da renderle reali e dinamiche.
E sta qui il bello: “La ragazza con l’orecchino di perla” è un grande romanzo perché fatto di silenzi e di atmosfere, di situazioni sussurrate, lasciate solo intuire, confessate neppure a se stessi, che il lettore deve saper cogliere, indagando tra le pieghe del racconto, in uno sguardo, in un gesto, in una frase morta in gola.
Non ci sono risposte preconfezionate a fugare dubbi, ma solo la misteriosità del vivere umano. Un romanzo capace di regalarci pagine toccanti e commoventi, di trasmettere quei silenzi, quelle atmosfere, quegli attimi senza tempo, quei movimenti bloccati, sospesi sull’eternità, che solo Jan Vermeer ha saputo così magistralmente rendere sulla tela.
Neri Pozza Editore
La vita moderna
di Susan Vreeland
Nell’estate del 1881 Pierre-Auguste Renoir si trova sulla terrazza della Maison Fournaise, sulla Senna a Parigi, portato li da Alphonsine, la figlia del proprietario, per ammirare il paesaggio, che non ha paragoni per i suoi occhi di pittore.
Non appena Alphonsine alza la tenda, Renoir rimane impressionato dalla bellezza di ciò che sta contemplando e immediatamente pensa a come poter riportare su tela quella splendida visione.
Dopo vari interrogativi decide di dipingere un quadro di notevoli dimensioni che si chiamerà “La colazione dei canottieri”. Rappresenterà la vita moderna e il nuovo modo di vivere dei parigini. Con questo quadro Renoir, conosciuto come il pittore della gioia di vivere perché ha sempre dipinto quadri che rappresentano la mondanità e la bellezza, vuole anche dare una risposta a Emile Zola: in un suo articolo aveva affermato che l’Impressionismo non era ancora stato in grado di esprimere nè un genio nè un capolavoro. Così potrà dimostrargli come all’interno di uno stesso quadro possano convivere la tradizione pittorica con le nuove correnti che stanno cambiando il modo di dipingere la realtà.
Susan Vreeland ci rivela quindi i pensieri, le emozioni e le difficoltà incontrate da Renoir nell’elaborazione del quadro e per far ciò racconterà le vicende dell’artista legate a quelle dei protagonisti dei suoi quadri: amici, amiche ed ex amanti, dei quali ci permette di conoscere anche i loro pensieri uniti a episodi della loro vita quotidiana. Tra queste figure spiccherà Aline Charigot che stregò Renoir e che lui sposerà dopo una lunga convivenza.
Un gradevole romanzo che fa conoscere la vita bohémienne di Parigi alla fine dell’Ottocento, dandoci la possibilità di apprendere meglio non solo l’aspetto tecnico dell’attività di un’artista ma anche e, forse soprattutto, di conoscerlo come uomo con i suoi pensieri e le sue emozioni.
Ammirando quel quadro bellissimo, ci appare la vita nella sua armonia, un luogo dove ciascuno è al suo posto e dove ognuno è chiamato a dare il meglio di sé.
Con le figure dipinte da Renoir che stanno prestando attenzione all’altra persona, oppure chiacchierando, bevendo un bicchiere di vino, guardando all’orizzonte o facendo giocare il cane; in un certo senso l’opera ci richiama alla memoria la frase che il Card. Von Balthasar usò per descrivere un concetto analogo: “La verità è sinfonica”.
Neri Pozza Editore
L’ultima lezione
La vita spiegata da un uomo che muore
di Randy Pausch con Jeffrey Zaslow
Nell’agosto 2007, il professore americano Randy Pausch ha saputo che il cancro contro il quale combatteva era incurabile e che gli restavano pochi mesi di vita.
Ha scelto di lasciare subito il suo lavoro all’università per stare vicino alla moglie Jai e ai loro tre bambini. Prima, però, il 18 settembre 2007, ha tenuto davanti a 400 studenti e colleghi la sua “ultima lezione”, intitolata “Realizzare davvero i sogni dell’infanzia”, alla Carnegie Mellon University (CMU) di Pittsburgh, Pennsylvania.
Con ironia, fermezza e coraggio, ha ripercorso le tappe della sua esperienza, e il suo discorso è una testimonianza toccante e profonda di una vita resa straordinaria dall’intensità con la quale è stata vissuta. Due frasi testuali da “L’ultima lezione”:
“Ogni ostacolo, ogni muro di mattoni, è lì per un motivo preciso. Non è lì per escluderci da qualcosa, ma per offrirci la possibilità di dimostrare in che misura ci teniamo. I muri di mattoni sono lì per fermare le persone che non hanno abbastanza voglia di superarli. Sono lì per fermare gli altri”.
“Quando sbagli chiedi scusa! Una buona scusa è formata da tre parti: “Mi dispiace”; “Era colpa mia”, “Cosa posso fare per rimediare”? La maggior parte della gente salta la terza parte; è da questo che puoi capire chi è sincero”.
Da quel giorno, milioni di persone hanno visto su internet l’ultima lezione di Randy Pausch.
Oggi quel testo, ampliato e arricchito, diventa un libro capace di parlare al cuore di ciascuno di noi.
Pausch non vuole rivelare il senso della vita; più modestamente, mostra perché vale la pena vivere.
Per quanto il titolo possa sembrare drammatico, il libro si rivela un inno alla vita, all’amore e alla gioia di vivere. Un testamento per i propri figli e un ringraziamento per tutti quelli che Randy ha incontrato durante il suo percorso.
Il messaggio che ci ha lasciato è di serenità e di grande altruismo, è un incitamento a considerare la nostra esistenza come un dono prezioso, da valorizzare ogni giorno per noi stessi e per le persone che amiamo.
Randy Pausch è deceduto il 25 luglio 2008.
Sul web è disponibile il video dell’ultima lezione (in inglese) consultando il sito http://www.thelastlecture.com/
Rizzoli
La vita ai supplementari
di Giovanni Galli
Giovanni Galli è stato un portiere d’eccezione, uno di quelli che se lo hai in squadra può fare la differenza. E la differenza l’ha fatta nel Milan, con cui ha vinto uno scudetto e cinque coppe tra il 1987 e il 1990.
Ma nel 2001 arriva, nei tempi supplementari, il rigore che non si può parare: il figlio Niccolò, diciassettenne speranza del calcio, muore in un incidente stradale in motorino mentre torna a casa dagli allenamenti; una morte assurda, quando una strada scivolosa e un guardrail rotto potrebbero distruggere una famiglia. Ma la rete di affetti di Giovanni, quella davvero non si è mai bucata: restando uniti, il dolore può trasformarsi in un’occasione per essere ancora di aiuto agli altri.
La divisione è fra la partita dell’esistenza giocata da Galli fino ad allora e quei supplementari che né lui, né la moglie Anna e le figlie Camilla e Carolina avrebbero mai voluto affrontare. Una frattura che però Galli risolve nell’unità del suo modello di vita, più raro che consueto per chi vive del pallone: appartato senza essere orso. Nell’unità della sua famiglia, quelle tre donne che tanta forza gli hanno dato e gli danno. Nella consapevolezza che il calcio è qualcosa di più uno sport o di una semplice fonte di guadagno, che pure ovviamente c’è stato. Tradotto in concreto quell’unità di intenti tra fede e altruismo che vede la nascita, in quello stesso terribile 2001, della Fondazione Niccolò Galli.
Con la moglie Anna, le figlie e un manipolo di amici del figlio, Giovanni crea la Fondazione Niccolò Galli, che da anni sostiene anche economicamente ragazzi, la cui vita è stata cambiata da un incidente stradale. Con la coscienza di chi ci è passato, aiuta le famiglie a trovare, anche là dove pare impossibile, un senso e una nuova forza.
Questo libro è il racconto di una vita vissuta al massimo: gli esordi nel calcio, i trionfi nel Milan, le emozioni dei grandi tornei internazionali, la quotidianità in città diversissime come la sua Firenze, la disordinata Napoli e la Milano da bere, la “scoperta” della televisione assieme a Raimondo Vianello, i problemi con i proprietari e i bilanci delle squadre. Sullo sfondo, una vita familiare pulita, dalla tenera storia d’amore con Anna alla prova più dura che una coppia possa trovarsi ad affrontare. E poi la politica, il volontariato, l’impegno in Africa.
Un libro, ‘La vita ai supplementari’, che può essere letto tutto d’un fiato, anzi forse va proprio vissuto così. Senza fermarsi: per entrare dentro a una storia umana e capire che, al di là di ogni presa di posizione politica o di commento calcistico televisivo su cui è lecito dividersi e discutere, lo sguardo di Galli nella copertina del volume mostra davvero il suo atteggiamento aperto di fronte alla vita.
Con la sua esperienza Giovanni Galli lancia un messaggio a tutti quelli che come lui sono stati colpiti dalla vita: non fermarsi mai, ricominciare ogni giorno come al fischio d’inizio di una nuova, fatidica partita.
Che si può vincere..
Rizzoli
I miei martedì col professore. La lezione più grande: la vita, la morte, l’amore
di Mitch Albom
Un professore, Morrie, un allievo, Mitch. Questi sono i protagonisti del romanzo, basato su fatti accaduti realmente.
I due si conoscono all’università di Brandeis, nel 1976. Instaurano un rapporto complice e educativo, che va ben al di là di ciò che vi è tra un insegnante ed i suoi allievi; è molto più profondo!
Il professore perde la madre quando ha otto anni ed il dolore per la sua morte avanza nonostante il tempo trascorso. Agli inizi degli anni „60 entra a far parte del corpo docenti di Brandeis: tiene corsi di psicologia sociale, salute, malattie mentali. Tutti i suoi ex allievi ritornano sempre a trovarlo dicendogli “non ho mai più avuto un professore come lei”.
Dopo 32 anni d’insegnamento all’università decide di ritirarsi perché affetto da sclerosi laterale amiotrofica, una malattia degenerativa che lo porterà a morire lentamente. Incuriositi dalla storia dell’anziano uomo, la trasmissione Nightline lo convoca per sottoporlo ad alcune interviste, con domande poste dal giornalista Ted Koppel.
Mitch dopo 17 anni che ha terminato gli studi, grazie a questa apparizione televisiva si riavvicina al suo insegnante prediletto. Decidono di incontrarsi a casa di Morrie durante il pomeriggio, di martedì. Qui registrano le loro conversazioni.
Durante ogni colloquio il professore vuole impartirgli una specie di lezione di vita. Insieme dibattono dei temi più vari: l’amore, il denaro, la morte, i valori, la famiglia, il perdono, e ogni volta Mitch esce arricchito da quelle chiacchierate illuminanti e rivelatrici.
“La cosa più importante della vita è imparare ad offrire amore e a riceverlo, lasciandolo penetrare dentro di noi”, “Bisogna imparare a morire e così imparare a vivere”.
Dopo sei settimane di terapia, l’uomo peggiora: fa fatica e a ingoiare i cibi e dunque si nutre solo di alimenti semiliquidi. Ora deve farsi pulire tutto dalle infermiere e ciò è la definitiva resa alla malattia. Morrie dice che se “la vita ha avuto un senso, non vuoi certo tornar indietro, ma proseguire, andar avanti”. Egli invidia i giovani perché possono nuotare, ballare, correre, però è orgoglioso della sua età perché ha vissuto la sua vita pienamente, è cresciuto ed ha imparato ad accettare le sfide poste dalla vita. L’ottavo martedì Morrie dice che l’unico modo per farsi ricordare dopo la morte è l’amore, l’amore che ce l’ha sempre vinta! Sulla sua lapide vuole incidere la frase “insegnante fino all’ultimo”. Un’altra cosa altrettanto emozionante è la forza dell’uomo che sa ascoltare gli altri come nessuno mai fa, si fa coinvolgere con entusiasmo da chi ha di fronte.
Il luogo di sepoltura che vuole è un albero su una collina con vista ad un laghetto. Il sabato mattina della tredicesima settimana muore, dopo aver detto addio all’amico. Le sue ceneri vengono portate su in collina.
Questo romanzo è a dir poco stupendo. Mi hanno molto emozionato gli episodi narrati e soprattutto il sapere che Mitch è sempre stato vicino al professore in ogni momento del dolore. L’amicizia che si è instaurata tra i due personaggi principali è davvero unica e il suo racconto rimane per sempre a testimonianza della potente forza dell’amore, dell’amicizia, della solidarietà.
BUR Biblioteca Universale Rizzoli
Un amore senza fine
di Douglas Kennedy
Manhattan, novembre 1945. Finita la guerra, l’euforia è nell’aria. Nella sua casa del Greenwich Village, Eric Smythe, commediografo di successo con simpatie di sinistra, ha invitato alcuni amici intellettuali. Ha convinto a unirsi al gruppo anche l’amatissima sorella Sara, una ventitreenne indipendente e volitiva che sta facendosi strada nel mondo della carta stampata. La giovane, un po’ spaesata, a un tratto incrocia lo sguardo di un fascinoso giornalista dell’esercito americano. Jack Malone… È un attimo, una scintilla destinata ad alimentare un fuoco che divorerà le loro vite.
New York, oggi. Kate Malone, pubblicitaria sulla quarantina, divorziata con un figlio di sette anni, durante il funerale della madre nota una distinta signora, di bell’aspetto malgrado l’età avanzata, che la osserva con attenzione. Più tardi, la sconosciuta cerca insistentemente di contattarla finché, riluttante, Kate acconsente e si vede recapitare un manoscritto. È una sorpresa e una sconcertante rivelazione che getta una luce completamente diversa sui suoi genitori e sul loro matrimonio. In quelle fitte pagine la signora Smythe le narra la tumultuosa vicenda della propria esistenza, drammaticamente legata a quella di Kate… Giocato sullo sfondo di una vividissima New York, che trascolora dal dinamico ottimismo postbellico all’incubo della caccia alle streghe del senatore McCarthy, coprendo un periodo che va dagli anni Quaranta al presente. Una travolgente storia d’amore, un racconto di lealtà e coraggio, di delusioni e sfide, di scelte decisive capaci di lacerare una vita e dei beffardi, ineluttabili disegni del destino.
Ma è anche un libro che fa meditare sui nostri comportamenti, sulle relazioni interpersonali, sulla necessità di superare i rancori e saper perdonare. Tutto questo in un romanzo che appassiona e coinvolge il lettore dall’inizio alla fine, facendogli scoprire quanto sia importante cogliere il “momento”, ogni singolo momento della nostra vita, “vivere” le persone e le situazioni cui siamo legati e che amiamo, fino in fondo, senza riserve.
Un romanzo pieno di emozioni e sentimenti che ci aiuta a riflettere sul senso della vita, sul perché del dolore e sulla necessità di guardare dentro di sé e di andare avanti, ancora una volta…
Sperling & Kupfer
Morte di un fotografo
di Douglas Kennedy
Ben Bradford, quarant’anni, ha tutto nella vita: è socio di un prestigioso studio legale di New York, ha una casa elegante, una bella moglie e due figli vivaci. Eppure, nonostante il benessere materiale, è profondamente infelice. Appassionato di fotografia, Ben aspirava in realtà a diventare un mago dell’obiettivo. Invece, per compiacere un padre ambizioso, è diventato avvocato e passa il suo tempo in un ufficio di Wall Street fra scartoffie stantie aspettando il momento più ambito, quello in cui finalmente potrà rifugiarsi nella sua attrezzatissima camera oscura, lontano dalle noie quotidiane della professione, lontano dagli sguardi sprezzanti di una moglie che pare non amarlo più come prima.
La crisi precipita quando scopre che lei lo tradisce: disperato, col cuore a pezzi, perde la testa. E il fatto che l’altro sia un fotografo professionista aggiunge la beffa all’umiliazione. Un drammatico, burrascoso confronto tra i due uomini si tinge di sangue: volano parole aspre, offensive, e in un attimo di rabbia cieca Ben, senza volerlo, uccide il rivale.
Negli istanti convulsi che seguono, mentre fissa sconvolto il cadavere, Ben avverte l’enormità della catastrofe. Come in un film allucinante vede scorrere davanti agli occhi le immagini del futuro: l’arrivo della polizia, l’interrogatorio, la condanna, i molti anni di galera, il distacco dai figli. Tutto è perduto. In una frazione di secondo la sua vita è distrutta, nulla sarà mai più come prima. Una situazione disperata… che gli lascia un’unica via di uscita. Ma è una scelta estrema, da cui non si torna indietro. Una scelta che gli impone un prezzo che potrebbe non voler pagare.
Un classico giallo psicologico, ricco di colpi di scena, costruito con intelligenza e strutturato in forma di dialogo stretto e continuo.
Una lettura che consiglio come tutti i libri di Douglas Kennedy, perché é capace di proporci dei romanzi dalla scrittura semplice e fluida, con una fervida fantasia che trasforma le trame delle sue opere in una narrazione ricca di suspense e di colpi di scena, unitamente alla capacità di presentare sempre spunti di riflessione interessanti, in particolare sui temi dell’identità, del senso di colpa, del perdono.
Sperling & Kupfer
La ragazza di carta
di Guillaume Musso
Cresciuto in uno dei quartieri più malfamati d’America, MacArthur Park a Los Angeles, Tom Boyd è un professore. Un giorno - per raccontare una storia alla sua amica del cuore - ha un’intuizione e scrive un romanzo, La Compagnia degli Angeli. E un altro, A memoria d’Angelo. Manca solo un capitolo per terminare la Trilogia degli Angeli, che nel frattempo ha riscosso un successo internazionale, tanto da convincere Hollywood a farne un film. Tom lascia l’insegnamento, si compra una casa sulla spiaggia e trova l’amore, Aurore, una pianista bella e brava. Sembrano la coppia di successo meglio assortita del jet-set, ma qualcosa si rompe. Lei lo lascia e, come nel più classico dei casi, lui piomba in una crisi autodistruttiva e ha un totale blocco dello scrittore.
A risvegliarlo sarà Billie, uno dei personaggi del suo libro, caduta nel salotto dello scrittore a causa di una frase interrotta. Per sopravvivere e tornare nel suo mondo, Tom dovrà finire la trilogia…
Ci riuscirà?
Guillaume Musso ci porta per mano in questo romanzo dal sapore fantastico, dove una ragazza di carta si materializza nel nostro mondo e sconvolge tutte le nostre regole. Viene naturale innamorarsi di Billie, sorridere alle disavventure di Tom, commuoversi nel finale… Una storia meravigliosa, magica e reale al tempo stesso, coinvolgente come non se ne trovava da tempo.
Guillaume Musso è un giovane romanziere francese capace di scrivere storie trasversali: per adolescenti a caccia di emozioni forti come per adulti in cerca di un romanzo che parli al cuore e ai suoi sentimenti. E nel suo romanzo, “La ragazza di carta”, c’è davvero di tutto. C’è perfino un riferimento molto colto, quello ai Sei personaggi di pirandelliana memoria. Sì perché Billie, la fanciulla bionda che “esce” dalle pagine del libro di Tom Boyd, accusa il suo autore di non farla vivere, dopo averla creata. E così lo costringe a finire la sua avventura letteraria (forse…) con un viaggio on the road.
Un’alchimia sofisticata dove suspense e sentimenti si intrecciano, dove c’è sempre un’altra possibilità, dove gli amici sono una garanzia anche se sono strampalati (la detective violentata dal patrigno, l’agente con le mani bucate e la passione per le Bugatti). Una trama impeccabile e un finale che sorprende.
Se la lettura di questa poesia di Jorge Luis Borges ci stupisce ogni volta, “La ragazza di carta” ci darà qualche risposta.
“Se io potessi vivere nuovamente la mia vita,
nella prossima cercherei di commettere più errori.
Non tenterei di essere tanto perfetto, mi rilasserei di più,
sarei più stolto di quello che sono stato,
in verità prenderei poche cose sul serio.
Correrei più rischi, viaggerei di più, scalerei più montagne,
contemplerei più tramonti e attraverserei più fiumi.
Andrei in posti dove mai sono stato,
avrei più problemi reali e meno problemi immaginari.”
Sperling e Kupfer
Se solo fosse vero
di Marc Levy
Quest’opera merita la nostra attenzione per la freschezza e l’originalità.
La tenera e appassionante storia d’amore tra Arthur e Lauren ha tutti gli ingredienti per affascinare: Lauren è una giovane donna il cui corpo giace in coma a causa di un incidente stradale mentre il suo spirito, vitale e affascinante, si aggira invisibile nel mondo dei vivi. Solo Arthur, l’architetto che ha appena traslocato nel suo vecchio appartamento, è in grado di vederla, sentirla, toccarla e parlarle. Tra i due, uniti da un destino sottile e imperscrutabile, si instaura un legame profondo che finirà per sfociare nell’unione di due anime, intensa, gioiosa ma anche disperata: un uomo “innamorato di un’anima”.
Pur prendendo spunto da una vicenda drammatica come la morte cerebrale, il racconto di Levy non è mai dominato dal tono cupo della tragedia ma è invece caratterizzato dalla commovente ed intensa lievità di una storia d’amore, destinata a trionfare, contro tutti i limiti della realtà e della ragione umana. Un romanzo che appassiona, per la sua capacità di dosare sentimento e colpi di scena, ironia e candore.
Arthur affronta anche la morte della sua mamma e ciò che lei gli aveva lasciato; a metà del libro c’è una lettera piena e carica di dolcezza e sentimento materno, c’è una donna che esprime al figlio le sue gioie, le sue sconfitte. In un passo la madre gli scrive: “Arthur, il dubbio e la scelta che lo accompagna sono le forze che fanno vibrar le corde delle nostre emozioni. Ricorda, ciò che conta è solo l’armonia di questa vibrazione”.
Basato sul grande e prolifico filone della letteratura dedita all’analisi della vita dopo la morte, “Se solo fosse vero” presenta, dunque, al lettore un tema complesso e difficile sfruttando l’idea, forse non del tutto originale, di un possibile rapporto tra uomini e spiriti in un tempo successivo la cessazione dell’attività cerebrale.
L’autore, memore della finalità prettamente ludica e romantica della sua opera, non si ferma però qui, ipotizzando non soltanto una storia d’amore metafisico tra i due protagonisti, bensì anche e soprattutto un contatto fisico, concreto, del tutto inconcepibile in termini razionali.
Una relazione potente, inimmaginabile e, ciononostante, a tal punto intensa da poter condurre addirittura al miracolo: concetto, questo, oggigiorno ridicolizzato e sottovalutato, oppure relegato in ambiti magici e grotteschi.
E, tuttavia, assai meno ovvio di quanto si pensi vista la sua eterna origine di motore, energia e sostegno dell’intera storia umana.
Un libro appassionante, rapido, da leggere tutto d’un fiato con la sensazione di “vedere” e “vivere” la realtà nel medesimo modo in cui è costretta a concepirla la protagonista e da cui liberarsi, alla fine, acquisendo se non la sua corporeità, sicuramente la sua coscienza di esistere e amare.
Un libro che tratta i sentimenti con delicatezza e pudore, che fa sorridere e commuovere; un romanzo che parla al cuore.
Corbaccio
Tenere la rotta
di Ted Kennedy
Ultimo dei nove figli di Joseph P. Kennedy e Rose E. Fitzgerald, Edward M. Kennedy - conosciuto da tutti come Ted - crebbe in un clima di grandi aspettative. Eletto senatore a trent’anni nel 1962, sotto la presidenza del fratello John, Ted iniziò un percorso politico che lo portò a diventare uno dei più apprezzati legislatori democratici. La sua vita si è svolta sotto il segno della tragedia e della perseveranza, dell’amore per la famiglia e della fede costante. Nelle sue memorie conduce il lettore nel cuore della sua numerosa famiglia, ricrea l’atmosfera che permeava la casa, racconta l’affetto che lo legava ai fratelli maggiori. Ma narra anche i suoi quaranta anni di lavoro al Senato degli Stati Uniti, l’impegno in alcune delle questioni fondamentali del nostro tempo, dai diritti civili al Vietnam, dal Watergate agli sforzi per portare la pace nell’Irlanda del Nord.
E si sofferma sulla lotta per la causa che ha caratterizzato buona parte della sua carriera politica, ossia il diritto a un’assistenza sanitaria migliore per tutti gli americani, un’esigenza resa ancora più acuta dalle esperienze personali vissute in vari ospedali.
Sui Kennedy sono stati scritti centinaia di libri, ma questa autobiografia si candida a diventare il contributo definitivo alla conoscenza di un importante esponente della famiglia più celebrata d’America.
Mi è piaciuto molto: non è un romanzo, ma si legge come se lo fosse. C’è la famiglia Kennedy, eccome: l’autore è orgoglioso di essere un Kennedy, con tutto ciò che lo status comporta, ed è quindi disposto a condividere con il lettore i ricordi migliori: l’infanzia felice coccolato e utilmente guidato dai genitori (lui, ultimo dei loro figli); lo studio difficile e le vacanze, con la scoperta del mare; il legame straordinario con i fratelli maggiori Joe Jr., Jack (così era chiamato il Presidente in famiglia) e Bobby, tutti morti in tragiche circostanze.
Sin dall’infanzia Ted Kennedy ha consapevolmente realizzato di appartenere ad una stirpe nel cui DNA erano impliciti l’impegno politico e civile, la fede, il concetto di servizio come miglioramento e progresso: per tutta la sua vita, e per i quarantasette anni in cui è stato ripetutamente rieletto senatore, ha semplicemente cercato di essere all’altezza della tradizione. Perché ci credeva e perché sentiva che quello era il suo dovere.
Ted era un politico e non un santo e questo libro non è un vangelo: due cose però si possono ricordare; l’importanza storica di un Kennedy che illustra sinteticamente il proprio punto di vista su vicende di cui ha fatto parte o su personaggi che ha conosciuto direttamente (compresi parecchi presidenti, sino a Barack Obama) e l’ammirevole, altissima idealità che ne ha ispirato l’opera e lo studio. L’esperienza esistenziale e politica dimostra abbastanza chiaramente che Ted Kennedy era un combattente tenace; per sua stessa ammissione sappiamo anche che era un inguaribile ottimista, un uomo che dopo aver individuato il proprio obiettivo si metteva al lavoro per raggiungerlo, non importa in quanto tempo o a prezzo di quali fatiche.
Anziano e malandato, il cancro se lo è portato via più o meno nei giorni in cui il volume è stato pubblicato: se la rotta è chiara e precisa, non c’è tempesta che tenga, come Ted ci ricorda appassionatamente lungo tutte le 450 pagine del suo libro.
Mondadori
Game over. Play again
di Marco Reggio
La parola crisi, va ricordato, porta con sé una valenza positiva: indica il tempo delle scelte per migliorare la propria condizione, la propria vita. Ed è proprio in quest’ottica che Marco Reggio ha scelto di leggere l’ultima grande crisi finanziaria globale. Una crisi che non parte due anni fa e non è nata per caso: trova infatti la sua origine più profonda nei comportamenti irrazionali che seguirono un fatto epocale, l’11 settembre 2001, che spinse il mondo nell’era della diffidenza. Quella “svolta antropologica” è stata in troppi casi amplificata dall’interconnessione accelerata delle economie, che ha fatto da palcoscenico per l’ingordigia di investitori finanziari senza scrupoli. I cocci li stiamo ancora raccogliendo: in termini di posti di lavoro distrutti, imprese in ginocchio, banche fallite e Stati da salvare.
“Game over. Play again” è la ricerca di antidoti a questa deriva, raccontata con parole semplici e comprensibili anche a chi fosse digiuno di economia. Mettiamoci un “punto” e ricominciamo da ciò che vale: è il messaggio rivolto soprattutto ai più giovani.
Quali sono i possibili rimedi? Hanno diversi nomi: solidarietà, partecipazione, microcredito. E affondano tutti le radici in un modo di concepire il bene comune nato nell’Italia del Settecento: l’economia civile. L’economia politica si fonda su sue capisaldi: il principio dello scambio di equivalenti e quello di redistribuzione. L’economia civile, a questi, aggiunge un terzo principio: la reciprocità. Serve a realizzare la fraternità. E il pensiero economico italiano ha sempre mantenuto quest’impostazione, a differenza della tradizione anglosassone.
Reggio, in questo libro agile e per tutti, va oltre le teorie e scende nel concreto esplorando realtà come quelle della Banca Etica, della Grameen Bank nata in Bangladesh, del progetto “Microfinanza Campesina” in Ecuador, del Credito Cooperativo in Italia. Scrivendo anche di energie pulite e della rete.
“Occorre saper coinvolgere i giovani per il loro futuro - annota Don Vinicio Albanesi nella prefazione – appellandosi al loro desiderio di agire, non lasciandoli immersi in quell’usa e getta che spesso è concausa di ingiustizie. I giovani sapranno comprendere e agire”.
Il gioco è finito, ma si può ricominciare.
Edizioni Ecra
L’inizio del buio
di Walter Veltroni
L’ultimo libro di Walter Veltroni ripercorre le tragedie di Alfredino Rampi e di Roberto Peci, avvenute esattamente trenta anni prima dell’uscita del volume, aiutandoci a riflettere sul ruolo dei media e della comunicazione, nel momento in cui hanno cambiato per sempre il nostro modo di essere. Questa è la storia di due tragedie che corrono parallele tra di loro, avvenute esattamente nello stesso momento e che hanno tenuto l’Italia intera con il fiato sospeso.
10 giugno 1981: Alfredo Rampi, un bambino meglio conosciuto da tutti come Alfredino, cade in un pozzo nella campagna di Vermicino nei pressi di Frascati. Il pozzo, largo soltanto una trentina di centimetri, è profondo ben 80 metri. I soccorritori cercano in ogni modo di salvare Alfredino creando minuto dopo minuto sempre nuovi stratagemmi che però non fanno altro che peggiorare la situazione. I soccorsi vengono seguiti da tutti gli italiani direttamente attraverso le televisioni delle loro abitazioni. Sono ore di angoscia per ognuno, ore in cui la voce del bambino, mandata in onda attraverso un microfono calato all’interno del pozzo, si fa sempre più flebile fino a che, nelle prime ore del mattino del 13 giugno, il bambino muore. È la prima volta che un episodio di questa tipologia viene mandato in diretta televisiva, una diretta che dura più di 18 ore. È la prima volta che gli italiani hanno modo di vedere i soccorsi così da vicino, è la prima volta che la tragedia entra veramente nei salotti di ogni cittadino rimanendo per sempre lì, nel cuore di ognuno di noi.
Un’altra tragedia avviene proprio nello stesso giorno: Roberto, fratello di Patrizio Peci che con il suo pentimento ha permesso la cattura di molti brigatisti, viene chiamato per la riparazione di un’antenna, ma ad accoglierlo non trova il cliente bensì uomini armati che lo rapiscono. Queste persone fanno parte delle Brigate Rosse e tengono Roberto prigioniero per ben 54 giorni fino ad ucciderlo, in quanto fratello di un pentito delle Brigate Rosse.
Walter Veltroni ci racconta quelle due tragedie parallele, con lo scrupolo di un reporter e la partecipazione passionale di uno scrittore. Le persone emotive e sentimentali vedranno sgorgare qualche lacrima mentre leggeranno le pagine del libro: possono andarne fiere perché significa che il loro cuore è rimasto coinvolto e si è appassionato alle storie che stanno leggendo.
Tutti quanti potranno apprezzare il modo appassionato con cui Veltroni ci parla del nostro passato, per aiutarci a capire verso quale mondo e quale società vogliamo incamminarci.
Rizzoli