Postfazione
Dopo aver letto questo testo di Tiziano Conti, ci si può interrogare sul perché del titolo, ripreso dalle parole di un protagonista della innovazione come cambiamento nello stile di vita, nell’organizzazione della attività intellettuale, produttiva, sociale.
L’interrogativo non è banale, anche perché senza raggiungere l’immagine esaltante (ma anche un po’mediatica) di Steve Jobs, il cambiamento, l’innovazione, la apertura a nuove prospettive è possibile nella vita quotidiana di tante persone che non fanno forse parlare di sé, ma lasciano un segno.
La rete di relazioni, di legami, di reciproci impegni in cui siamo collocati ogni giorno, è costituita da tante persone che operano per provocare o anche solo per partecipare ad un processo di cambiamento, di innovazione di cui avvertono la necessità, anzi l’urgenza. Si avverte sempre più il bisogno di un qualcosa che, senza indulgere alla violenza di qualsiasi tipo, rompa muri silenziosi, vinca la pavidità, superi quella autoreferenzialità che fa della vita un mondo chiuso, impenetrabile, dia avvio ad una scoperta dell’altro che si traduca nella messa a disposizione delle sue necessità i saperi, le competenze, le tecnologie di cui abbiamo la disponibilità.
Siamo sempre più – ci ripetono di continuo – in un mondo globalizzato, dove la comunicazione, attraverso le tecnologie che consentono la sua esplosione e la sua virtualizzazione, ci fa sentire sempre più isolati e soli, con un senso pervasivo di impotenza di fronte ai grandi e drammatici eventi che stravolgono anche la nostra vita quotidiana.
Avvertiamo gli effetti di una crisi economica sempre più strutturale, determinata da crisi finanziaria dominata da forme criminali di speculazione da parte di capitali anonimi, di gruppi di interesse che fanno ormai impallidire gli gnomi di Zurigo. Viviamo sempre peggio la condizione di uno spaesamento che se ci rende cittadini del mondo, non ci fa più riconoscere le nostre radici, il nostro essere parte di una comunità, di un territorio, portatori ormai inconsapevoli di una memoria e di un tradizione, che possono ancora dare senso a molte azioni della vita quotidiana.
Da ciò il bisogno di un cambiamento, di percorsi di innovazione profonda, che poi si riconduce alla domanda di una nuova e più radicale umanizzazione.
Ebbene, io credo che i racconti, i commenti, le riflessioni che Tiziano Conti ci ha proposto vadano in questa direzione, esprimano questo disagio e la domanda di un cambiamento, di una “follia” che trova il suo senso nella riscoperta degli altri, di piccoli mondi che rendono possibile il riconoscimento reciproco, la condivisione di una esperienza.
E la contestuale militanza di Tiziano nell’universo della mutualità e della cooperazione, anche attraverso l’espressione più strutturata delle sue imprese evolute, come il credito cooperativo, da’più forza e senso a quanto abbiamo trovato nelle pagine di un suo diario, che appare in realtà molto più ricco della episodicità dei racconti.
È importante far condividere anche qualcosa di sé che, se non viene fatto condividere, rischia di rimanere solo una manifestazione di narcisismo inutile; non l’individualismo che si risolve in se stesso, ma la mutualità e la condivisione sono le ragioni di uno stile di comunicazione e di vita che lasciano traccia.
Everardo Minardi *
* Everardo è Presidente della Fondazione Giovanni Dalle Fabbriche.
Da diversi anni condivido con lui il lavoro per la promozione della mutualità e il sostegno all’imprenditorialità e alla formazione cooperativa dei giovani, con un rapporto umano che va oltre l’impegno professionale.
T.C.